Lo spirito vitale dell’uomo nel libro di Sapienza

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Nel libro di Sapienza troviamo passi che ci possono aiutare a completare la definizione di “spirito vitale” iniziata da Qoelet. Qui troviamo chiaramente espressa l’idea che il ruah è peculiarità umana e questo rende l’uomo assolutamente unico all’interno della creazione in quanto depositario di un dono di Dio.

Nefesh e Ruah nel libro di Sapienza

Attraverso l’immagine del vasaio e degli idoli di argilla contenuta nel capitolo XV, si descrive l’uomo cinico e ambizioso che fabbrica idoli col fango per lucro e per tornaconto personale. Quel che Genesi dice sul primo uomo, Sapienza lo applica al vasaio: «Cenere è il suo cuore, la sua speranza più vile della terra, la sua vita più spregevole del fango, perché [il vasaio] disconosce il suo creatore, colui che gli inspirò un’anima attiva e gli infuse uno spirito vitale» (Sap 15, 10-11). Nello scegliere di modellare idoli, il vasaio disconosce il suo Artefice cioè colui che per professione “modella il fango”, e disconosce pure di essere stato egli stesso plasmato da Dio. Qui vediamo come nefesh e ruah, anima e spirito, siano separati ma allo stesso tempo correlati tra loro da diverse specificazioni.

Il creatore agisce a due livelli: infusione dello spirito e inspirazione di un’anima attiva nell’uomo. Anche se utilizza i due termini distinti, l’autore di Sapienza ha dell’uomo una concezione dicotomica e non tricotomica alla maniera platonica. Considera entrambe parti di una stessa azione vivificante di Dio. L’anima attiva (psichen energousan) è il principio che agisce in tutte le azioni vitali dell’uomo.

L’alito vitale e la vita in Sapienza

L’espressione “alito vitale” (pneuma zôtikon) è unica nella Bibbia dei LXX. Secondo Sapienza essa è il principio delle attività superiori dell’uomo.

Al capitolo XVI l’autore sottolinea che Dio ha potere assoluto sulla vita e la morte. L’uomo può togliere la vita ma poi non ha la capacità di far tornare vivente l’essere re-insufflando il ruah vivificante: «L’uomo può uccidere nella sua malvagità, ma non far tornare uno spirito già esalato, né liberare un’anima già accolta negli inferi.» (Sap 16, 14).

Questo libro sapienziale si serve della concezione antropologiche veterotestamentarie del suo tempo per esprimere una verità universalmente valida: la vivificazione dell’uomo è infusione dello spirito vitale divino; la morte il suo contrario cioè l’uscita e il ritorno dello spirito al proprio creatore (cfr. Qo 12, 7).

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