Il Vangelo di Giovanni

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Vangelo di Giovanni

Nel Vangelo di Giovanni psiche indica la vita in tutte le sue sfaccettature e in tutti i suoi contenuti umani. Gesù dona la sua vita-psiche per le pecorelle: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore» (Gv 10, 11). La psiche acquista anche valenza di legame e sacrificio d’amore che lega il Padre al Figlio: «Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita (psiche), per poi riprenderla di nuovo» (Gv 10, 17).

Psiche indica l’umano

Giovanni ribadisce che il discepolo di Cristo, seguendo l’esempio del Maestro, deve sacrificare la propria vita, ma non per il semplice fatto che Dio la può riscattare, ma perché Gesù ha rivelato, attraverso la stessa Parola, il dono della vita eterna: «Chi ama la sua vita la perde e chi odia la vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna» (Gv 12, 25). Nei casi analizzati vediamo come l’accezione di psiche indichi prettamente l’umano e la vita evidenziando in Giovanni, come nei vangeli sinottici, un significato unitario. Nel quarto vangelo, psiche è legata a pneuma: «E’ lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita» (Gv 6, 63).

Lo pneuma è vivificante in Giovanni

È lo pneuma che dà la vita, qui inteso quindi nel senso di principio vitale primario. Questa affermazione serve a contrapporre la sfera terrena e umana a quella celeste divina, e va letta con senso antropologico: solo chi è nato ed è vivificato dallo Spirito può comprendere le parole che sono spirito, cioè divine. Agostino scrisse commentando questo passo:

È dunque “lo spirito che vivifica”: lo spirito infatti fa vivere le membra. Ma lo spirito non può vivificare le membra se non le trova unite nel corpo cui esso stesso dà vita. Lo spirito che è in te, o uomo, lo spirito che ti fa sentire di essere uomo, come può vivificare un membro che fosse separato dalla tua carne? Per spirito, intendo la tua anima; e l’anima non vivifica altro che le membra che sono nella carne tua; se togli un membro, esso non può più essere vivificato dall’anima, in quanto non fa più parte dell’unità del tuo corpo.

Agostino, Commento al Vangelo di S. Giovanni

Il dualismo giovanneo

Anche nel vangelo di Giovanni troviamo un dualismo, ma non anima-corpo, bensì pneuma-corpo: «Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito [πνεῦμα] è Spirito. Non ti meravigliare se t’ho detto: dovete rinascere dall’alto. Il vento [πνεῦμα] soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito» (Gv 3, 6-8). In questo versetto pneuma è usato per indicare sia lo spirito che il vento. Nella lingua ebraica c’è un gioco di assonanze all’interno della frase che noi non possiamo rendere con la traduzione. L’uomo è incapace di arrivare da solo al Regno di Dio e questo perché il mondo divino dello pneuma rimane per lui irraggiungibile. Colui che è generato nella carne è per sua essenza nient’altro che carne. Soltanto colui che è generato nello spirito è per sua natura spirito e può entrare nella sfera superiore celeste e divina: «Da dove proviene questa contrapposizione delle due sfere «carne» e «spirito (divino)»? Non si tratta d’un dualismo (platonico) interno all’uomo tra la sfera sensibile del corpo e la sfera spirituale dell’anima, bensì dell’opposizione tra l’esistenza umana creaturale, terrena, caduca, e l’assoluta, spirituale, indistruttibile potenza vitale di Dio» (R. Schnackenburg, Il vangelo di Giovanni (parte prima), Paideia Editrice, Brescia 1973, p. 533).

Pneuma e Regno

Solo lo pneuma divino che ospita può aiutare l’uomo a raggiungere l’autentica vita eterna e quindi il Regno. Nei versetti in esame Gesù ricorre all’analogia spirito-vento per essere meglio compreso. In sostanza vuol dire che, come il vento rimane misterioso nella sua origine e nel suo fine, è comunque una realtà che si può percepire; esso soffia per forza propria e lo stesso avviene per chi è generato dallo Spirito. Qui si gioca con il duplice significato di pneuma, ma la valenza di questo come fonte di vita è perfettamente in linea con Gen 2, 7. «La carne è il fango dal quale Dio forma l’uomo, mentre Nicodemo la considera come il suo stato definitivo. Lo Spirito le dà forma, vita e forza» (J. M. J. Barreto, Il vangelo di Giovanni. Analisi linguistica e commento esegetico, Cittàdella Editrice, Assisi 1982, p. 178.).

L’episodi della samaritana

Nel dialogo successivo che Gesù ha con la samaritana al pozzo dice: «Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito [πνεῦμα ὁ θεός], e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità» (Gv 4, 23-24).  Pneuma indica ciò che attiene a Dio e al mondo celeste in contrapposizione a ciò che è terreno ed umano. Giovanni, qui, non vuole dare una definizione di Dio, ma il predicato nominale πνεῦμα indica il modo con cui egli agisce nei confronti degli uomini: si fa conoscere e amare attraverso lo spirito dalla mente dell’uomo, e dà agli uomini lo Spirito che li rinnova.

Sulla croce

Sulla croce, al momento della morte, Gesù spira consegnando il suo spirito al Padre. Questo complemento oggetto ha impegnato molto la Chiesa primitiva ed ha portato gli evangelisti a differenti spiegazioni teologiche. Si dice che Gesù consegna il respiro vitale al Padre. Quello consegnato sarà poi lo stesso spirito che il Risorto soffierà sui discepoli: «Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”» (Gv 20, 22-23). Lo Spirito viene trasmesso alitando. Questo gesto di Gesù rappresenta la comunicazione dello Spirito per la missione. Letteralmente il verbo è ἐμφυσάω («insufflare»). Stando anche ai passi veterotestamentari, il significato è quello della trasmissione di vita, in questo contesto, dunque, partecipazione alla vita del Risorto. Nel vangelo giovanneo lo Spirito è proprietà del Padre e come tale è concesso e consegnato a Gesù Cristo; il Figlio, allo stesso tempo può riconsegnarlo, in libertà, al Padre e, con la resurrezione, lasciarlo in consegna agli uomini.

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