Padri della Chiesa dei primi secoli: anima e spirito

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Molti Padri della Chiesa fra i quali Clemente di Alessandria, Origene e Atanasio, considerarono sede della veterotestamentaria «immagine e somiglianza di Dio» (Gen 1, 26) specialmente l’intelletto e l’anima, in continuità con alcune fondamentali intuizioni dei neoplatonici e degli stoici. Questa posizione fu poi seguita da autori come Agostino di IpponaTommaso d’Aquino. Il pensiero dei Padri sull’anima e sullo spirito è molto ampio e coinvolge tanti aspetti della loro teologia. Noi ne prenderemo in considerazione solo alcuni esaminando passi specifici delle loro opere.

Giustino

Per Giustino (110-165) l’anima umana è sicuramente principio di vita, ma ciò significa contemplare due possibilità: o essa è vita in sé (è cioè produttrice di vita essa stessa), oppure ha vita e quindi non è in lei il principio vitale, ma essa ne è solo espressione. Giustino scrive: «che l’anima viva, nessuno lo nega. Se dunque vive, vive senza essere essa stessa la vita, bensì partecipando della vita. Ora, ciò che partecipa di qualche cosa è diverso da ciò di cui partecipa» (Dialogo con Trifone, V, 4 – VI, 1-2). Il principio vitale di cui partecipa l’anima umana risiede nello spirito vivificante che Dio ha posto all’interno dell’anima stessa:

L’anima partecipa della vita perché Dio vuole che abbia la vita. Così non ne parteciperà più nel caso che Lui non volesse più che viva. Il vivere, infatti, non le è proprio così come invece lo è di Dio. Ma come non è proprio dell’uomo vivere per sempre, e come il corpo non rimane sempre unito all’anima ma, quando viene il momento di sciogliere quest’armonia, l’anima lascia il corpo, e non c’è più l’uomo, allo stesso modo, quando l’anima non deve più esistere, si separa da lei lo spirito vivificante e non c’è più l’anima, che invero ritorna da dove era stata tratta.

Dialogo con Trifone, V, 4 – VI, 1-2

In Giustino quindi lo spirito vivificante, totalmente identificato con il ruah veterotestamentario, è giustamente descritto come lo Spirito di Dio che, scendendo nell’uomo lo vivifica. Questo pneuma che risiede nell’uomo per dono di Dio necessita di sviluppo e, se curato, caratterizza l’uomo perfetto.

Anima e spirito in Ireneo di Lione

Tale è anche il pensiero di Ireneo (130-202). Egli sottolinea che è l’uomo nella sua interezza, e non solo una sua parte, che deve ambire alla perfezione divenendo simile a Dio. Quindi lo spirito, al pari dell’anima, è parte integrante e sostanziale dell’uomo: «Ora l’anima e lo spirito possono essere una parte dell’uomo, ma in nessun modo l’uomo: l’uomo perfetto è la mescolanza e l’unione dell’anima, che ha ricevuto lo Spirito del Padre e si è mescolata alla carne plasmata a immagine di Dio. […] Infatti né la carne plasmata è in se stessa l’uomo perfetto, ma corpo dell’uomo e parte dell’uomo, né l’anima è in se stessa l’uomo, ma anima dell’uomo e parte dell’uomo, né lo spirito è l’uomo, perché si chiama spirito e non uomo» Ireneo di Lione, Contro le eresie, V, 6, 1).

Solo l’unione e l’integrazione di questi elementi costituisce l’uomo e gli permette il raggiungimento della perfezione. Ireneo suggella la sua riflessione citando il passo della Prima lettera ai Tessalonicesi di Paolo dove emerge l’aspetto tricotomico dell’uomo: «E per questo l’Apostolo, spiegandosi da sé, ha definito chiaramente l’uomo perfetto e spirituale, partecipe della salvezza, dicendo nella Prima lettera ai Tessalonicesi: Il Dio della pace santifichi in modo che diventiate perfetti e tutto il vostro essere lo spirito, l’anima e il corpo sia conservato irreprensibile per la venuta del Signore Gesù Cristo” (1Tess. 5, 23)» (Ireneo di Lione, Contro le eresie, V, 6, 1). Questa visione tricotomica dell’uomo si trova in maniera molto disordinata presso i Padri dei primi secoli. Sarà Origene il primo che la sistematizzerà.

Tertulliano

L’antropologia di Tertulliano (155-230), invece, spinge il materialismo cristiano a un punto tale da considerare la dimensione corporale come il cardine della salvezza: «Anche se le sarebbe sufficiente il solo fatto che nessun’anima può ottenere la salvezza, a meno che non creda quando è ancora nella carne: tanto la carne è cardine della salvezza» (Tertulliano, De carnis resurrectione, 8, 2). Affrontando il tema dell’importanza del corpo quale elemento destinato alla risurrezione, l’autore parla dell’uomo e dell’anima quali “contenitori” del soffio vitale-spirituale di Dio: «Quella carne che Dio ha creato con le proprie mani ad immagine di Dio, cui ha dato l’anima tramite il suo soffio a somiglianza della sua vitalità […]: questa carne non risorgerà, che è per tanti aspetti opera di Dio? Non sia mai, non sia mai, che Dio abbandoni alla morte eterna l’opera delle sue mani, il prodotto del suo ingegno, il fodero del suo soffio» (Tertulliano, De carnis resurrectione, 9, 1-2). Il concetto di corpo come contenitore dell’anima e dello spirito che caratterizza il pensiero di Tertulliano sarà usato, anche successivamente, da altri Padri come Ambrogio.

L’unicità dell’anima nei Padri

In questa prima fase dell’epoca patristica si dà grande importanza a tutte le tre dimensioni umane per il raggiungimento della perfezione cristiana. Saranno invece Padri, come Clemente di Alessandria, Giovanni Crisostomo, Origene e Gregorio di Nissa in oriente, ed Agostino in occidente, ad attribuire una netta priorità all’anima per spiegare l’origine e la dignità dell’essere umano di fronte alla caducità della materia.

Pertanto, anche se il corpo è inferiore all’anima, non vituperarlo. Io non permetto, infatti, che neppure l’anima sia vituperata, nonostante che nulla essa valga senza lo spirito.

Giovanni Crisostomo, Omelie sulla lettera agli Efesini, 5, 4

Essi non negano l’unità dell’uomo ma la natura umana è per loro definita a partire dalla specificità della sua anima individuale e considerando sempre anche il suo aspetto spirituale.

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Bibliografia:

H. CROUZEL, Origene, Borla, Città di Castello (Pg) 1986.